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Nel cotonoso raplaplà di Bologna..., il tipo di quella donna dall'anima fosforica e smagliante come un metallo vetusto mi avvolgeva di un turbine di esistenza remotissima e futurissima.
- A. Savinio

venerdì 16 febbraio 2024

Scrivere... altrove.

Oggi vi porto a fare un viaggio in due tappe a cavallo della musica, la mia più grande passione oltre a lettura e scrittura. La prima tappa sarà nei meandri della mia mente e la seconda vi condurrà in Colombia. Sarà un viaggio un po' tortuoso, ma allacciatevi le cinture senza paura e seguitemi...

C'è un capolavoro di Marco Castoldi, in arte Morgan, che ascolto quasi in loop da un po' di tempo e s'intitola Altrove. Ci sono periodi in cui ascolto in maniera ossessiva un artista o un genere musicale, pur essendo io (quasi) onnivora e ami spaziare molto tra epoche e generi diversi. Adesso è il momento dei Blue Vertigo e di Morgan in versione solista, appunto e il motivo ha a che fare soprattutto con i testi sui quali mi soffermo a esercitare l'arte della riflessione. Altrove ha un testo in cui mi rispecchio profondamente. A ogni ascolto trovo collegamenti con le mie esperienze di vita. Immediatamente mi rimanda alle mie esperienze di viaggio.

"Ho deciso
Di perdermi nel mondo
Anche se sprofondo
Lascio che le cose
Mi portino altrove 
Non importa dove
(Non importa dove)"

Lo scopo del viaggio, si sa, è il viaggio stesso, non il raggiungimento di una meta. Inoltre, perché il viaggio raggiunga lo scopo, è necessario essere disposti a perdersi, nel senso di perdere se stessi, rinunciando "alla giacca dell'anno scorso", in breve i nostri pregiudizi, i nostri punti fissi, certezze e "posizioni" di fronte al mondo.

"Lascio le parole non dette
E prendo tutta la cosmogonia
E la butto via
E mi ci butto anch'io"

Il viaggiatore sa infatti per esperienza che per arrivare all'Altrove, per comprenderlo, o almeno per cercare di farlo, è necessario arrivare spogli per aprirsi alla meraviglia dell'incontro.
"Applico alla vita
I puntini di sospensione
Che nell'incosciente
Non c'è negazione"

"Applicare alla vita i puntini di sospensione", sospendere il giudizio, guardare "altrove" senza aspettative è fondamentale, credo, anzi, ne sono convinta, per condividere esperienze come quella che ho fatto lo scorso dicembre in Colombia, ma prima che ve ne parli, ascoltatevi (o riascoltate) con attenzione questa canzone:





Dicevo... a dicembre sono stata invitata da un'amica che considero una sorella, oltre che una grandissima imprenditrice sociale, a unirmi ad una spedizione nella Guajira, una regione abbandonata "da Dio e dagli uomini", direbbe qualcuno, ma sicuramente dal governo colombiano, in cui oltre ai mille problemi legati all'estrema povertà e alle lotte sanguinarie legate al narcotraffico, l'alfabetizzazione delle popolazioni indigeni locali di origine Wayuu conosce eterni ed infiniti ostacoli, prima di tutto logistici, visto che le comunità si trovano sparse in un vasto territorio desertico. Dunque manca di tutto, a partire dall'acqua, fino ad arrivare agli insegnanti, pochi, ma forti come guerrieri. Per RECUPERA TU SILLA, l'azienda che si (pre)occupa di rifornire le scuole di attrezzature necessarie insieme alle fondazioni ed associazioni ed anche aziende sponsor sue alleate, realizzare sogni è una missione e significa mettere insieme un'organizzazione logistica e produttiva mastodontica, inimmaginabile per chi abbia il sostegno delle istituzioni, praticamente utopica, quando, come in questo caso, debba farne senza. Se poi a dirigere tutto è una donna, impossibile. Eppure, all'Avvocato Maria Angelica Sanchez la parola impossibile non è mai stata insegnata e ogni volta che una nuova scuola riceve materiale scolastico e banchi per gli alunni, è un miracolo che si realizza. A dicembre sono stata invitata a condividere uno di questi miracoli e quando vedi un miracolo, beh, qualcosa ti cambia per sempre...

Già solo il viaggio a bordo di un aereo militare in compagnia di rappresentanti graduati dell'aviazione e dell'esercito è stata un'emozione difficile da descrivere, soprattutto perché ho incontrato ragazzi e ragazze con un cuore e una dolcezza rari, e in più in combinazione con il coraggio e la forza che normalmente si associa a una divisa, fattori che in Colombia, un Paese ancora complicato, nonostante l'avvio del processo di pace, sono necessariamente moltiplicati per almeno due cifre. 

L'Aviazione ha fornito i trasporti aerei e l'Esercito i trasferimenti a medio raggio in camion, oltre che la sicurezza (sì, erano armati fino ai denti!)

La Guajira è storicamente territorio sotto il controllo dei Narcos. Qui vivono alcune popolazioni indigene di etnia Wayuu in condizioni di estrema povertà. I bambini sono tutti a rischio di morte per denutrizione, dipendenza da stupefacenti, violenze di vario tipo, rapimento per tratta umana e di organi e naturalmente anche a rischio di entrare in contatto con i Narcos, che se non li uccidono, li prendono come manovalanza. In Guajira si trovano quindi ad ogni passo rappresentanti delle grandi e piccole ONG, che stilano statistiche e portano un po' di sollievo sotto forma di aiuti umanitari, ma gli aiuti quasi sempre finiscono tra le mani dei politici locali che li rivendono in cambio di voti o per uso personale.
Il risultato è che la popolazione non si fida neppure di chi vorrebbe aiutarla e dunque non è facile convincerla a concedere il permesso di accesso ai villaggi.
Con la sua fondazione, Recupera Tu Silla è riuscita infatti solo dopo molti sforzi e pazienza a diventare credibile ed essere accettata sul territorio. 
Da qualche anno torna dunque periodicamente in Guajira per portare materiale scolastico e banchi nelle scuole insieme alle Forze Armate, grazie a un programma speciale che consente loro di agire in autonomia a sostegno delle comunità in grave difficoltà economica e sociale. 
Gli abiti Wayuu sono colorati come le bellissime "mochilas" che intessono e vendono in città per un pugno di Pesos. Purtroppo anche qui, commercianti spregiudicati gliele acquistano per poi rivenderle a cento volte il loro prezzo iniziale. E a noi turisti ancora sembrano economiche!
In questo viaggio, ho constatato con i miei occhi che la prima forma di aiuto che si può offrire a un popolo è il riconoscimento della sua dignità. È ciò che chiedono gli insegnanti nelle scuole prima di qualunque collaborazione, altrimenti si tratterebbe di carità meschina, che, pur nella loro miseria, preferiscono rifiutare. Il popolo Wayuu è un popolo fiero, ricco di tradizioni, con una lingua propria, ma che senza l'alfabetizzazione di base resta isolato in un deserto e condannato alla fame e all'oblio, ecco perché l'aiuto fondamentale da garantire resta l'accesso al diritto allo studio, che è ancora la forma migliore e sostenibile per tentare di promuovere lo sviluppo di questo popolo.


Così appariva la scuola prima dell'arrivo dei camion militari con le nuove attrezzature...
Il dono più grande che mi sono portata a casa è stato il sorriso e le grida di gioia di quei bambini, che per la prima volta si sono seduti ai loro banchi nuovi di zecca.

Questa è una classe... e questa scuola, delle tre che abbiamo visitato, era la migliore, perché almeno aveva una lavagna e un tetto sopra i banchi.


L"Altrove" della Guajira è un universo parallelo che ti spiazza a tal punto da stordirti e denudarti di fronte all'inconosciuto e apparentemente incomprensibile e allora, dopo un po' ti costringe a guardarti intorno con occhi nuovi e ti cambia. Ti fa sentire un alieno, totalmente fuori posto, un elemento estraneo che attira curiosità, ma poi ti ricordi che non sei lì per osservare, bensì per portare qualcosa a quei bambini che ti guardano spaesati e capisci che il dono più grande che hai portato con te non sono le "cose" che stanno scaricando dai camion, ma una luce di speranza. Ovvero la testimonianza che al di là di quello spazio sconfinato dove crescono arbusti, esiste un mondo che li attende, un mondo assai lontano dalla perfezione, ma dove potrebbero un giorno diventare letterati, ingegneri, aviatori, chissà... Il rispetto che abbiamo dimostrato loro attraverso il contatto diretto, così come il riconoscimento della loro cultura e della sua dignità, ci auguriamo abbiano potuto contribuire a far loro comprendere che quell' "altrove" che abbiamo suggerito con la nostra presenza esiste ed è pronto ad accoglierli con le braccia aperte; una porzione di mondo che non li giudica e non li rifiuterà, e che invece li considera parte di un popolo vasto quanto l'Umanità. E per la gente Wayuu, vi assicuro, non è un concetto affatto scontato...

Quando ti ritrovi in un posto del genere, lontano da tutte le tue certezze, sotto il sole cocente del deserto e solo l'acqua pulita che ti sei portato da casa, capisci che forse sei tu, nel tuo refrigerato nido del primo mondo, che hai costruito intorno a te un bellissimo castello fatto solo di sabbia. E faresti bene a non dimenticarlo mai.

In ogni scuola dove siamo giunti, ci hanno offerto cibo, che però noi abbiamo chiesto venisse dato agli alunni e alle loro famiglie. Se non l'avessimo fatto, per quelle famiglie sarebbe stato un giorno in più di digiuno.

Molti di queste comunità professano già religioni cristiane, ma anche le scuole con alte percentuali di bambini non di religione cristiana accettano le donazioni di Bibbie da parte delle chiese (in questo caso evangelica) perché non hanno altri libri di testo su cui esercitare la lettura.


TESTO di Altrove.
Però(Che cosa vuol dire però)Mi sveglio col piede sinistroQuello giusto
Forse già lo saiChe a volte la folliaSembra l'unica viaPer la felicità
C'era una volta un ragazzo chiamato PazzoE diceva sto meglio in un pozzo che su un piedistallo
Oggi ho messoLa giacca dell'anno scorsoChe così mi riconoscoEd esco
Dopo i fiori piantati, quelli raccoltiQuelli regalati, quelli appassiti
Ho decisoDi perdermi nel mondoAnche se sprofondoLascio che le coseMi portino altroveNon importa dove(Non importa dove)
IoUn tempo era sempliceMa ho sprecato tutta l'energiaPer il ritorno
Lascio le parole non detteE prendo tutta la cosmogoniaE la butto viaE mi ci butto anch'io
Ho decisoDi perdermi nel mondoAnche se sprofondo
Applico alla vitaI puntini di sospensioneChe nell'incoscienteNon c'è negazione
Un ultimo sguardo commosso all'arredamentoE chi s'è visto, s'è visto
Lascio che le coseMi portino altrove

giovedì 15 febbraio 2024

"Perché guardi i K-Drama?"


Questa è la prima domanda che soesso viene posta agli appassionati del genere. Sicuramente è una domanda che avrà formulato anche Emma Silvestri al primo incontro con i suoi dieci pazienti. Nel mio romanzo troverete un paio di risposte indirette, ma nella realtà, cosa rispondono veramente gli interessati?
Qui sotto vi propongo alcune risposte reali trovate nei gruppi FB che trattano l'argomento Drama. Vi faccio notare che le risposte provengono da uomini e donne di età differenti.
Nel leggerli immaginate che potrebbero essere anche le risposte di Veronica, Giulia, Stefano, Federica, Samanta, Aurora, Malie, Maria, Elisa o Zita.

Allora...

PERCHE' VI APPASSIONANO TANTO I K-DRAMA?

- "Passione per la Corea, ma soprattutto ti isolano da questo triste mondo..."
- Ho iniziato per caso, in un momento in cui avevo bisogno di evadere dalla vita reale... e non sono più tornata... Adesso vivo in una realtà parallela immersa in questo mondo incredibile..."
- "È come venire trasportati in un mondo parallelo. Un viaggio onirico ad occhi aperti."
- "Perché ci insegnano molto: il rispetto e l'educazione, mai volgari, ci fanno sognare."
- "Perché ho fatto l'errore d'iniziare. A parte questo, il loro modo di recitare mi emoziona, tocca corde profonde anche solo con la mimica facciale. Cosa che non mi succede con le altre serie."
- "Prima era la dolcezza, poi la lingua, poi le loro tradizioni e il cibo, poi è stato il mondo da sogni in cui mi immergo in una realtà piena di cattiveria!"
- "Per sognare."
- "Perché non fumo, non mi drogo, non bevo e non mi piace fare shopping. Una dipendenza dovevo pur avercela!"
- "Perché recitano maledettamente bene, sono veri, perché esprimono quel romanticismo ormai dimenticato da noi occidentali, perché la loro lingua è un mantra, perché ti fanno dimenticare chi e cosa sei, perché ti fanno sognare. Sono diversi da noi."
- "Perché ho imparato ad abbracciare i miei nipoti dopo aver iniziato a vedere drama e ho scoperto che abbracciare fa stare bene."
- "Perché anche un piccolo gesto riesce a farti emozionare."
- "Io li definisco una droga che ti fa piangere, ridere e sognare ad occhi aperti."
- "Perché le sceneggiature sono migliori di quelle delle serie americane, sono più lente e c'è meno volgarità."
- "Perché gli attori sono una gioia per gli occhi, le storie sono ben fatte, ben recitate e sono per tutti i gusti. La produzione è costante e amplissima."
- "Io la chiamo "febbre coreana". Sono entrata in questo tunnel senza uscita tre anni fa e me ne sono innamorata subito perché riescono a trasmettere tante emozioni e valori a volte da noi dimenticati."
- "Bella domanda... Dovrebbero trasmetterle con l'avvertenza, "creano dipendenza". Sai che me lo chiedo pure io il perché?".

E tu? Li guardi i K-Drama? Se la risposta è sì, qual è la tua motivazione?

giovedì 28 dicembre 2023

"Come nasce un tuo romanzo? Dove trovi l'ispirazione per scrivere?"


Alcuni di voi mi hanno posto queste stesse domande in diverse occasioni. In realtà non esiste un'unica risposta. Ogni romanzo è una storia a sé. La Casa Gialla, come ho più volte raccontato, è nato da un titolo che girava nella mia mente già da un po' e da una scommessa lanciatami da mio figlio Gabriele; Il Gioco delle Ombre dal mio interesse ad esplorare in una chiave diversa la stessa domanda centrale che aveva animato il libro precedente; Ferite a Fior di Labbra, il mio ultimo romanzo pubblicato, è semplicemente sgorgato dal mio animo nel momento in cui è diventato per me cruciale dare voce a personaggi ed esperienze molto legate al mondo reale; Ballo in Fa Minore, che uscirà nel 2024, è nato dal mio profondo amore per la città di Budapest e infine Velluti e Vecchi Segreti, il libro che ho appena iniziato a scrivere, è stato ispirato da un evento curioso successo a un mio familiare, che mi ha fornito il personaggio di Luigi Pellegrino, un giovane cuneese di vent'anni che nel 1935 si imbarca come ballerino sul Transatlantico Augustus, in rotta per le Americhe. 

C'è sempre una scintilla che accende il mio interesse e la fantasia. Da qui parto alla ricerca di luoghi, personaggi e aneddoti, fatti storici, atmosfere e sviluppo un vero e proprio studio fatto di letture e tanti appunti che poi si concretizzano nella stesura di una sorta di canovaccio intorno al quale formo una prima traccia di intreccio giallo. Solo a questo punto inizio a pensare alla parabola evolutiva dei protagonisti e a buttar giù l'incipit. L'incipit è fondamentale per definire l'atmosfera che caratterizzerà la narrazione e che non cristallizzo fino a che non sento di perdermi in quell'atmosfera. Spesso questo è un lavoro lento e stratificato, ma non sempre.

Nel caso di Velluti e Segreti, per esempio, l'incipit è esploso nella mia mente in immagini dettagliate, emozioni, e profumi precisi che mi hanno attirato a sé con una forza magnetica. Ma certo poche cose sono affascinanti come un viaggio transoceanico su una nave magnifica ai tempi d'oro del crocerismo, in un'epoca storica piena di tensioni e contraddizioni... Chi non ne rimarrebbe completamente irretito?

Come piccolo regalo natalizio, vi lascio un piccolo assaggio di alcune tra le tante immagini evocative che hanno ispirato il mio nuovo lavoro: 







Buone Feste e alla prossima!

giovedì 9 novembre 2023

Studi scientifici confermano: "La dipendenza dalle serie TV coreane è una brutta bestia!" Eccovi una testimonianza...


La protagonista di FERITE A FIOR DI LABBRA è una psicologa alle prese con dieci pazienti (9 donne e un uomo) vittime di una strana dipendenza, quella ai K-Drama, ovvero serie tv prodotte in Corea del Sud.

Per quanto strano e ridicolo vi possa sembrare, nonostante non si tratti (ancora) di una patologia oggetto di medicalizzazione, la passione per il mondo dei drama può considerarsi in effetti una vera e propria dipendenza che costringe sempre più persone a fare scorpacciate (spesso notturne) di ore e ore di trasmissioni televisive sottotitolate e che, come tutte le droghe, ha anche i suoi spacciatori... (come la sottoscritta, per esempio, che ho condotto nel "tunnel" ormai decine di amiche innocenti.)

Qui sotto trovate la testimonianza di Federica, una delle tantissime vittime di questo nuovo fenomeno.




Proprio l'amore per i drama e la condizione di dipendenza che accomuna tutti noi appassionati del genere sono stati il primo spunto intorno a cui ho pensato di cucire questo nuovo romanzo giallo, che originariamente avrebbe infatti dovuto chiamarsi "9 Sfumature e Mezzo di Drama" ed avere un taglio più umoristico. In realtà poi l'intreccio ha acquisito tinte troppo fosche per un titolo simile e inoltre il focus della storia si è spostato altrove, ma sono ancora molto affezionata a questa illustrazione qui a destra e volevo mostrarvela.

Vi piacciono le serie TV? 
Avete mai visto un drama?
Vi piacerebbe saperne di più?

Lasciatemi i vostri commenti qui sotto.




Vi anticipo un breve estratto del libro in cui incontriamo per la prima volta alcuni dei personaggi nello studio dove si svolgono le sedute di terapia di gruppo. Enjoy!

__________

«Qualcuna di voi conosce già la dottoressa Silvestri?» Quattro teste fecero di no all’unisono. «Ci sarà da fidarsi? Ho sentito che è giovane. La più giovane dello studio.» Mentre parlava, alzava e abbassava rapidamente il tallone destro. Il movimento della gamba era accompagnato dal tamburellare delle dita sul ginocchio. «Tu non sei abituato a fare terapia, vero?» gli rispose una ragazzina dai capelli rosa pastello. «Non credo ci sia niente di cui preoccuparsi. La Silvestri mi è stata raccomandata da un’amica che si è trovata molto bene. Non c’è bisogno d’esser tanto nervosi.» «Nervoso io?» Lui non sembrò capire l’osservazione della ragazza. «Ah… intendi perché faccio così con la gamba? Lo faccio sempre quando devo stare seduto troppo a lungo, non farci caso. A proposito, io mi chiamo Stefano, e voi?» La giovane gli sorrise e rispose per prima. «Io sono Aurora. Piacere.» Stefano pensò che era carina con i capelli lunghi tutti colorati. Era minuta e piccolina. Gli ricordava una bambolina o un personaggio uscito dai manga. A guardare bene era vestita come una idol coreana. Doveva essere una fanatica del K-pop. Forse era un po’ infantile, ma sembrava simpatica. Una ad una si presentarono anche le altre tre donne. «Visto che siamo già alle presentazioni, mi chiamo Maria. Ciao a tutti.» L’uomo pensò che Maria fosse una bella donna, anche se sovrappeso e con i capelli aridi e giallastri di chi ha ricorso troppo spesso alla tinta. Portava i segni dell’età e qualcosa in più, una tristezza malinconica che parlava di rassegnazione e rimpianti. Intuì che doveva aver perso qualche battaglia nella vita. Era più grande di lui, ma non abbastanza per essere sua madre. Sarà stata sulla cinquantina. Qualcosa in lei tuttavia gliela ricordava e anche se non si conoscevano, anche se non aveva senso, in quel momento avrebbe voluto abbracciarla. «Ciao a tutti.» Un’altra donna più o meno della stessa età si fece avanti. «Io sono Zita e sono molto curiosa di vedere come andrà questa terapia di gruppo. Devo ammettere di essere un po’ scettica al riguardo. Mi sembra di stare sul set di uno di quei film americani dove si siedono tutti in cerchio e iniziano ogni seduta annunciando da quanti giorni non bevono.» Gli altri risero alla battuta. «Anche voi siete qui per disintossicarvi dai drama ?» Intervenne l’ultima sconosciuta. «A proposito, io sono Elisa.» Zita la guardò attentamente e ne annotò mentalmente la corta zazzera biondo platino, i tatuaggi su collo e mani e i denti bianchi e regolari di una dentatura posticcia. Le mani secche e nodose con vene in rilievo si aprivano e chiudevano mentre parlava, come se ne volesse rilasciare la tensione. Le donne assentirono con un movimento della testa. «Io non sono sicuro di trovarmi nel posto giusto» intervenne Stefano. «Mi ci ha mandato mia moglie, lo faccio per accontentarla. Per il nostro rapporto.» Zita non era certa d’aver compreso bene le implicazioni dietro quella frase sibillina, ma le altre annuirono come se condividessero il suo punto, quindi si astenne dal fare ulteriori domande. Maria le rivolse la parola: «Mi piace la tua tinta. Per molto tempo li ho portati anche io di quel biondo, ma adesso il colore non prende più così bene. Dopo un po’ vira sul rossiccio. E riesci ancora a portarli lunghi! Hai davvero dei bei capelli! Un tempo anche io li avevo lunghi e folti, ma poi con la menopausa...» Dallo sguardo indifferente dei presenti, si accorse di essersi lasciata andare alle solite recriminazioni e per giunta con degli sconosciuti. Se non chiudeva subito la bocca avrebbero finito per pensare che era noiosa! «Anche io sono qui per migliorare il rapporto con il mio fidanzato.» La parola passò ad Aurora. «Sto davvero troppo appiccicata allo schermo a guardare drama e finisce che non faccio mai niente che interessi a lui. Una volta uscivamo spesso, ora non più. Stiamo sempre in casa.» Zita avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma in quel momento la porta si spalancò ed entrò una giovane donna con i capelli ramati lunghi fino alle spalle e una frangetta troppo corta. Gli occhiali dalla spessa montatura ambrata le erano scivolati sulla punta del naso ed erano tutti piegati da un lato; se il colore degli occhi non fosse stato di ghiaccio, il suo aspetto generale avrebbe di certo avuto un che di comico. Era trafelata e sembrava avesse fatto le scale di corsa. Si tolse il cappotto e il foulard intorno al collo. «Scusatemi per il ritardo. Ho fatto il più velocemente possibile. Spero di non avervi causato dei problemi.» «A noi no.» Per tutti rispose Stefano, girandosi di scatto verso la porta alle sue spalle, cosa che gli impose di torcere il busto di novanta gradi inclinando schiena e collo all’indietro nello sforzo di scoprire subito l’aspetto della persona a cui avrebbe dovuto affidarsi. Ciò che vide non lo deluse affatto. «Ma la segretaria è dovuta andar via. Insieme ad altre cinque ragazze che non potevano fermarsi oltre l’orario stabilito.» Il senso di colpa di Emma le gonfiò il petto; dovette emettere un sospiro d’imbarazzata frustrazione prima di proferire nuovamente le sue scuse...

venerdì 27 ottobre 2023

In Uscita il 21 Novembre 2023: FERITE A FIOR DI LABBRA

Esce tra poco per Be Strong Edizioni il mio terzo romanzo giallo!

In questo libro ho esplorato il tema della violenza in alcune delle sue tante sfaccettature. C’è prima di tutto la violenza fisica e criminale di un serial killer, ma esiste anche una violenza più sottile e diffusa di tipo psicologico, che emerge dalle interazioni tra i personaggi: all’interno di quadri familiari – tra genitori e figli e tra coniugi – ma anche tra estranei che si conoscono per la prima volta. A volte si tratta di piccole forme di abuso, quasi impercettibili e non traumatizzanti, se subite singolarmente, ma che provocano danni quando vengono reiterate e “normalizzate” nel lungo periodo. Si parla allora, per esempio, del fenomeno del Gaslighting, che fa riferimento a una forma di abuso e di manipolazione psicologica agita nei confronti di una persona, al fine di farla dubitare di se stessa, della sua percezione della realtà e dei suoi pensieri. Non ultima, emerge la violenza delle Istituzioni, di chi dunque per antonomasia dovrebbe rendersi responsabile della cura e della sicurezza“dell’altro” e invece latita.

I miei personaggi ruotano quasi tutti intorno a drammi personali e relazioni tossiche. E anche chi ne è apparentemente esente, a ben guardare porta invece ancora i segni di vecchi traumi, ereditati dalla propria storia familiare, probabilmente. Ricordando che anche l’indifferenza e la negligenza sono gravi forme di violenza verso il prossimo, nella Società che conosco, nessuno può dirsi dunque alieno alla violenza. In qualche modo tutti ne siamo vittime e prima o poi, tristemente, carnefici.

Ecco qui la sinossi: 

Emma Silvestri è una giovane e timida psicologa alle prime armi, che si occupa di dipendenze presso uno studio di una piccola città di provincia. Le sono stati affidati dieci pazienti con una dipendenza molto particolare e, nonostante un inizio non proprio brillante, le sedute serali procedono senza intoppi. Tuttavia Emma non può dormire sonni tranquilli: il quartiere precipita nel panico a causa di una serie di efferati omicidi e tra i cadaveri spunta proprio una paziente dello studio, mentre la polizia sembra brancolare nel buio.

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domenica 14 maggio 2023

Il tema della sofferenza auto-inflitta ne Il Gioco delle Ombre


 "La maggior parte della sofferenza è inutile. Ce la infliggiamo da soli fino a quando, a nostra insaputa, si lascia che la mente prenda il controllo della nostra vita. Il pensiero da solo, quando non è più connesso con il regno molto più vasto della consapevolezza, rapidamente diventa arido, folle, distruttivo. 

È la nostra mente a causare i nostri problemi, non le altre persone, non il "mondo esterno", è la nostra mente, con il flusso di pensieri pressoché costante, che pensa al passato e si preoccupa del futuro.

Noi commettiamo il grave errore di identificarci con la nostra mente, pensando che questa sia la nostra identità, mentre in realtà noi siamo esseri ben più grandi."

- Eckhart Tolle


Ne Il Gioco delle Ombre il tema della sofferenza auto-inflitta gioca un ruolo protagonista. Lord Evans la personifica assai bene già all'inizio del libro attraverso il senso di colpa (forse neppure completamente sincero) e i rimpianti che lo accompagnano negli ultimi giorni della sua vita, quando, da credente, sente imminente il giudizio divino. Con il procedere della narrazione diventerà sempre di più un tema centrale che muove i personaggi e ne giustifica le azioni, in alcuni casi scellerate, che avrebbero potuto essere evitate, alla luce di una maggiore consapevolezza di sé. Perché ogni essere umano non è mai impotente di fronte alla sofferenza inflitta dal "mondo esterno", viceversa può sempre scegliere come reagire.

Nelle parole di Tolle risiede infatti una grande verità: il dolore non è una gabbia senza uscita. È la nostra mente a costruire per noi quella gabbia e siamo poi noi a decidere di restarci dentro ed arredarla. Riuscire a comprenderlo è il primo passo vero la libertà. 

Voi cosa ne pensate?

Vi lascio un piccolo estratto del secondo capitolo.

*****

"Aveva sperato per così tanto tempo di rivederla almeno un’ultima volta, oppure di scoprire il luogo della sua sepoltura. Se ci fosse riuscito le avrebbe chiesto perdono. E ora che gli restava poco da vivere, pregava che avvenisse il miracolo e Dio gli permettesse di rimediare ai suoi peccati. Ma forse Dio non era quello compassionevole del Vangelo bensì davvero la divinità implacabile descritta nell’Antico Testamento e in tal caso era certo non l’avrebbe mai perdonato, neppure di fronte a un pentimento sincero. Eppure lui aveva scontato già una pena terribile in tutti quegli anni di solitudine, come poteva non essere ancora abbastanza? Spuntarono due lacrime dagli occhi chiusi di Arthur. Scivolarono lungo le tempie per sparire subito dopo al contatto con il morbido cuscino di piume, mentre Ava gli rimboccava le coperte."

In evidenza:

Scrivere... altrove.

Oggi vi porto a fare un viaggio in due tappe a cavallo della musica, la mia più grande passione oltre a lettura e scrittura. La prima tappa ...