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Nel cotonoso raplaplà di Bologna..., il tipo di quella donna dall'anima fosforica e smagliante come un metallo vetusto mi avvolgeva di un turbine di esistenza remotissima e futurissima.
- A. Savinio

giovedì 25 febbraio 2021

LA CASA GIALLA - Scheda Personaggio: Angelica Nocenti


Angelica è una ragazza solare, nonostante abba una storia abbastanza drammatica alle spalle. Villa delle Rose ha rappresentato per lei negli anni dell'infanzia e della prima giovinezza più di una casa: un rifugio sicuro, ma anche una prigione dorata in cui ha dovuto assistere al lento ed inesorabile decadimento psichico della madre, che l'ha condotta ad una prematura morte, pochi anni prima degli eventi narrati nel libro. Alla soglia dei trent'anni, è libera da legami e la scopriamo intenta a riflettere sul suo futuro subito dopo il rientro da un viaggio di studio in Inghilterra. Ha molti dubbi, ma è certa di due cose: non ne vuole sapere del suo ex, che vorrebbe tornare con lei, e spera di allentare il controllo che il padre ancora esercita su di lei.

Ecco l'estratto in cui il lettore la incontra per la prima volta.

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Erano passati solo due giorni dal suo ritorno in Italia e ancora non si era riabituata ai profumi e alla luce della campagna toscana, dopo il grigiore degli ultimi mesi nella capitale inglese. Angelica aprì la porta della cucina ed uscì sulla veranda, dove gli ultimi quattro ospiti del b&b avevano appena terminato la colazione, prima di partire. Nel registro delle prenotazioni, non era annotato nulla per altre due settimane: un peccato, perché fine settembre aveva dei colori bellissimi e, nei dintorni, finalmente si potevano visitare borghi e città d’arte, approfittando di un clima favorevole e senza le solite folle di turisti che sciamavano da ogni dove durante l’estate. Ma, in fondo, era meglio per lei. Si sarebbe goduta il rientro a casa come fosse una vacanza e poi avrebbe finalmente deciso cosa fare della propria vita. Aveva rimandato troppo a lungo, trovando mille e mille scuse per non fare mai una scelta. L’ultima era che aveva bisogno di migliorare il suo inglese e certo non le si poteva dare torto, visto che suo padre lavorava nel campo dell’accoglienza turistica. Le piaceva il contatto con la gente e soprattutto le piaceva vivere in campagna. Affiancare il padre nella gestione di un Bed & Breakfast era perciò sicuramente un’opzione... eppure, quella possibilità non la convinceva fino in fondo. Tutto il suo mondo, escludendo la breve parentesi londinese, aveva sempre ruotato intorno a quella grande villa e alla sua famiglia. Se ci pensava bene, a parte la musica, i suoi libri e quella casa, non conosceva nulla del mondo. E più il tempo passava e più si sentiva insoddisfatta, chiusa in una gabbia dorata, dove non aveva bisogno di niente, eppure, in qualche modo, di tutto. Il padre aveva dedicato la sua vita a due cose: la musica, che insegnava al Conservatorio come maestro di violoncello e lei, viziandola e concedendole ogni lusso gli consentissero le sue finanze. Tentava, a modo suo, di compensare una figura materna pressoché assente, smarrita in un mondo tutto suo, fatto di piccoli lavori di giardinaggio e di lunghi pomeriggi trascorsi al pianoforte. Lui sapeva quanto la moglie amasse la loro figlia, ma era altrettanto consapevole che non fosse in grado di occuparsene, avendo lei stessa bisogno di cure costanti contro una depressione profonda che, giorno dopo giorno, la alienava sempre più dal resto del mondo. Poi, in seguito alla sua prematura dipartita, Vieri Nocenti si era dedicato alla ragazza con tale impegno da risultare quasi soffocante ad un osservatore esterno e questo atteggiamento eccessivamente protettivo aveva finito per minare la sicurezza e l’autostima di Angelica, che ora si dibatteva in un mare agitato da cui non sapeva come uscire con le sue sole forze.


domenica 21 febbraio 2021

Un'intervista all'autrice.

Vi lascio la trascrizione di una recente intervista che spero troverete interessante.

Buona lettura!


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D: Presentati, parlaci di te. 

R: Sono nata a Milano nel '67, vivo tra il Piemonte e l’Alto Adige, ma se potessi vivrei un po’ qui e un po’ là, essendo nomade per vocazione. Viaggio moltissimo da sempre (pandemie permettendo) e mi sento un po’ cittadina del mondo, anche se per esserlo veramente devo imparare ancora un bel po’ di cose. Ho fatto studi classici, prima di studiare Economia all’università. Oltre a viaggiare, mi piace leggere, studiare lingue straniere, cinema e teatro e guardare serie asiatiche, che traduco, nel tempo libero, per una piattaforma di streaming chiamata Viki. 

D: Quando è nata la tua passione per la scrittura? 

R: Nell’infanzia. Ma non ho mai pubblicato qualcosa che pensassi valesse la pena di provarci fino allo scorso dicembre. 

D: Uno scrittore è prima di tutto un lettore, che genere prediligi? 

R: Come per il cibo e la musica, sono onnivora. Tranne l’horror, spazio tra i generi. Dipende molto dal tempo che ho a disposizione e dal ‘mood’ del momento. Sotto l’ombrellone, per intenderci, preferisco i gialli (soprattutto i grandi classici, da Conan Doyle a Camilleri). I miei autori preferiti iniziano con le tantissime letture dell’infanzia, che spaziavano da Rodari alle fiabe Giapponesi, passando per i classici Dickensiani, fra tutti, appunto Rodari, che ho riletto ancora volentieri con i miei figli. Poi sono arrivati Calvino, la Morante, Pirandello, la Yourcenar, e sto citando solo quelli che ho riletto più volte. E infine ho iniziato a leggere in inglese i grandi classici di fine ‘800, primi ‘900, Oscar Wilde, Brontë e Austen fra tutti, ma anche Mark Twain, Poe, J. K. Jerome e Wodehouse. Della letteratura contemporanea, conosco meno, a parte Stephen King, che amo per come riesce a descrivere le emozioni. In generale, direi comunque che i miei riferimenti restano nell' ambito della letteratura classica. 

D: Parlaci del tuo ultimo lavoro e della tua scrittura.

R: Domanda difficile e delicata. È come descriversi guardandosi allo specchio. Piuttosto imbarazzante. Cercherò di non esprimere un giudizio su ciò che ho scritto, né su come l’ho scritto, questo ovviamente spetta unicamente ai lettori. Lo dico, perché a volte si rischia di mascherare un giudizio dietro alla risposta ad una domanda del genere, perciò chiedo venia se sarò meno che oggettiva in ciò che dirò. Si tratta di un libro nato quasi per gioco e su insistenza dei miei figli, che volevano pubblicassi almeno una delle tante storie che mi ronzavano in testa. L’occasione mi è stata data dal primo lock-down che mi ha concesso molte ore di solitudine per la stesura. Poi c’è stata anche la complicità di alcune amiche che hanno letto passo passo i capitoli e offerto preziosi spunti e consigli. L’idea del racconto, invece è arrivata come conseguenza della mia passione per le serie asiatiche, in particolare di quelle coreane, che mi ha offerto lo spunto per il protagonista maschile e la struttura portante del racconto. La scansione in quindici capitoli, il ritmo, e altri piccoli elementi ricordano infatti la struttura dei Drama, e danno un respiro che potrei definire cinematografico alla storia, come se fosse quasi una trasposizione di una sceneggiatura. Per quanto riguarda la mia scrittura, posso dire che mi piace introdurre dialoghi divertenti (dalle mie letture, avrete capito quanto ami l’umorismo anglofono) e spero di esserci riuscita, almeno un paio di volte. Cerco anche di far percepire il più realisticamente possibile le emozioni che provano i miei personaggi. Vorrei che i miei lettori potessero avere un’esperienza “immersiva” delle mie storie. 

D: Scrivici la citazione preferita del tuo scrittore preferito. 

R: Citerò fra le tante che ho amato, una di Mark Twain, tratta da “The Innocents Abroad” : "The gentle reader will never, never know what e consummate ass he can become until he goes abroad". E cioè: Il gentile lettore non saprà mai che razza di idiota può diventare, sino a che non andrà all’estero. Lascio al “gentile lettore” le successive riflessioni in merito. 

D: Scrivici la citazione preferita di una tua opera. 

R: Mmmm, difficile, così a bruciapelo, però credo che sia questa: "Non si può sempre scegliere dove andare, a volte è meglio non farlo. E lasciarsi andare. La vita è come acqua che scorre, se hai paura di affogare, resterai sempre a riva a guardare gli altri passare."

D: Il tuo estratto preferito?

R: Altra difficile domanda. Un po’ come quando ti chiedono chi preferisci tra i tuoi figli. Fortunatamente, almeno non ho opere tra cui scegliere. Allora vi leggo questa... Siamo in un Bistrot di Parigi, dove il protagonista è entrato per ripararsi da un temporale e per chiedere informazioni: […] Jean si voltò e vide, nell’arco della porta, una matrona vestita interamente di rosso vermiglio. Vermigli erano anche il rossetto e le unghie affilate e curate. La veste le stava stretta sul petto e sui fianchi ed era di fattura mediocre, ma il cappello che la sormontava era sicuramente un accessorio inusuale, non tanto per la foggia ardita che lo faceva assomigliare ad un vascello adornato di frange, né tantomeno per il lusso che avrebbe voluto ostentare, bensì soprattutto per il contrasto cromatico che opponeva al fulvo argentato della di lei capigliatura, ovvero proprio ciò che un cappello degno di tal nome avrebbe dovuto invece armoniosamente complementare. Nell’insieme, una visione non certo adatta ai deboli di cuore. Jean tuttavia non batté ciglio e fu lesto nel precedere il tentativo della donna di dar voce ad una sua probabile richiesta di attenzioni indirizzata al gestore. La prese dunque sotto braccio e la condusse al tavolo più vicino, poi, con un elaborato inchino, le chiese il permesso di offrirle un caffè in cambio di una domanda. La donna sembrò aver frainteso la cavalleria del giovane e affascinante uomo al suo cospetto e il suo sguardo carico di sottintesi certo non gli lasciò alcun dubbio circa il tipo di interesse che era riuscito a risvegliare in lei. Per dovere di chiarezza, si spinse comunque ad allungare una mano verso di lui, per ghermirgli un avambraccio. “Mi chieda pure tutto quello che vuole... bel ragazzo d’Oriente. Mi chiamo Renée, a proposito.” Purtroppo per la donna, la conversazione terminò non appena anche lei si trovò costretta ad ammettere di non conoscere la chiesa parrocchiale della foto e di non ricordarne neppure il nome. Tentò ancora di intrattenere il suo ospite, prima strattonandogli il braccio e poi deviandone l’attenzione sulla procacità della scollatura, ma non ottenne neppure un’occhiata furtiva di sguincio. La delusione la costrinse allora ad incurvare le spalle ed abbassare lo sguardo e, per un istante, sembrò che il vascello stesse per inabissarsi. 

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Grazie per l’intervista a Simone Clementi per il suo Blog.

sabato 6 febbraio 2021

Il protagonista de La Casa Gialla è un FLOWER BOY. Ma cos'è un FLOWER BOY?

Il termine Flower Boy, in Corea, identifica un uomo dai tratti delicati, il più delle volte in contrasto con un corpo snello e tonico con addominali scolpiti. Un FB cura maniacalmente il suo aspetto e consuma molti cosmetici per la cura della pelle. Essere un bel ragazzo è qualcosa a cui gli uomini coreani aspirano attivamente, motivo per cui, nel 2011 sono stati responsabili di un quarto delle vendite mondiali di cosmetici realizzati appositamente per gli uomini. Inoltre, i flower boys non disdegnano il trucco, né accessori o, in alcuni casi, anche capi d'abbigliamento dal taglio femminile (senza arrivare all'utilizzo di gonne, vestiti o tacchi).  Sono flower boys gli 'idol' del k-pop, per esempio. 
In ambito occidentale, esiste un termine paragonabile in uso nel mondo anglofono: metrosexual. (vedi anche questo articolo.)
In generale, l'aspetto pulito e curato dei flower boys è ancora molto lontano e difficilmente apprezzato dalla cultura dominante in occidente, che tende ad etichettare il loro aspetto come deviante, nel migliore dei casi troppo effemminato, se non appartenente alla categoria della fluidità di genere. 
Il tema del contrasto alla 'mascolinità tossica' intanto si sta però affermando anche da noi e credo che, con il tempo, sapremo guardare con altri occhi a fenomeni come questo.















Nelle foto, l'attore
Jang Keun Suk




Qui di seguito, eccovi l'estratto in cui Silvia Nocenti si accorge della presenza di Son-Jun.

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Mentre riabbracciava forte Angelica, vide una figura maschile scendere le scale. Era vestita con un maglione arancione come le scarpe e dei pantaloni di velluto lucido di un bel marrone terra di Siena. Portava i capelli lunghi, raccolti sulla nuca e con delle ciocche sapientemente lasciate libere ai lati. Sugli anulari notò, a destra, un anello con una grande pietra nera e, a sinistra, una fascia d’argento. Mani da pianista. Mentre scendeva, ne alzò una per scostare con il mignolo la lunga frangia che gli nascondeva parzialmente il viso. All’improvviso, si fermò su un gradino ad osservare la scena sotto di lui. Silvia era l’unica persona che non gli dava le spalle e quindi l’unica a vederlo, in quel momento. I loro occhi si incrociarono e lui sorrise. Era un sorriso sincero e luminoso e lei pensò di trovarsi di fronte ad un giovane uomo dalla personalità abbagliante quanto il suo aspetto. La serata si presentava inaspettatamente interessante. 



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