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Nel cotonoso raplaplà di Bologna..., il tipo di quella donna dall'anima fosforica e smagliante come un metallo vetusto mi avvolgeva di un turbine di esistenza remotissima e futurissima.
- A. Savinio

domenica 14 maggio 2023

Il tema della sofferenza auto-inflitta ne Il Gioco delle Ombre


 "La maggior parte della sofferenza è inutile. Ce la infliggiamo da soli fino a quando, a nostra insaputa, si lascia che la mente prenda il controllo della nostra vita. Il pensiero da solo, quando non è più connesso con il regno molto più vasto della consapevolezza, rapidamente diventa arido, folle, distruttivo. 

È la nostra mente a causare i nostri problemi, non le altre persone, non il "mondo esterno", è la nostra mente, con il flusso di pensieri pressoché costante, che pensa al passato e si preoccupa del futuro.

Noi commettiamo il grave errore di identificarci con la nostra mente, pensando che questa sia la nostra identità, mentre in realtà noi siamo esseri ben più grandi."

- Eckhart Tolle


Ne Il Gioco delle Ombre il tema della sofferenza auto-inflitta gioca un ruolo protagonista. Lord Evans la personifica assai bene già all'inizio del libro attraverso il senso di colpa (forse neppure completamente sincero) e i rimpianti che lo accompagnano negli ultimi giorni della sua vita, quando, da credente, sente imminente il giudizio divino. Con il procedere della narrazione diventerà sempre di più un tema centrale che muove i personaggi e ne giustifica le azioni, in alcuni casi scellerate, che avrebbero potuto essere evitate, alla luce di una maggiore consapevolezza di sé. Perché ogni essere umano non è mai impotente di fronte alla sofferenza inflitta dal "mondo esterno", viceversa può sempre scegliere come reagire.

Nelle parole di Tolle risiede infatti una grande verità: il dolore non è una gabbia senza uscita. È la nostra mente a costruire per noi quella gabbia e siamo poi noi a decidere di restarci dentro ed arredarla. Riuscire a comprenderlo è il primo passo vero la libertà. 

Voi cosa ne pensate?

Vi lascio un piccolo estratto del secondo capitolo.

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"Aveva sperato per così tanto tempo di rivederla almeno un’ultima volta, oppure di scoprire il luogo della sua sepoltura. Se ci fosse riuscito le avrebbe chiesto perdono. E ora che gli restava poco da vivere, pregava che avvenisse il miracolo e Dio gli permettesse di rimediare ai suoi peccati. Ma forse Dio non era quello compassionevole del Vangelo bensì davvero la divinità implacabile descritta nell’Antico Testamento e in tal caso era certo non l’avrebbe mai perdonato, neppure di fronte a un pentimento sincero. Eppure lui aveva scontato già una pena terribile in tutti quegli anni di solitudine, come poteva non essere ancora abbastanza? Spuntarono due lacrime dagli occhi chiusi di Arthur. Scivolarono lungo le tempie per sparire subito dopo al contatto con il morbido cuscino di piume, mentre Ava gli rimboccava le coperte."

venerdì 5 maggio 2023

Curiosità dalla Corea: Il Binyeo, un antico accessorio femminile e non solo.

Park Shin-Hye nel film "Il Sarto Reale"

   
    Sin dai tempi antichi, il binyeo era considerato dai coreani più di un  accessorio, poiché veniva utilizzato nella speranza di proteggere i loro villaggi e salvaguardare il benessere della loro famiglia. Allo stesso modo, gli antenati credevano che ogni binyeo conservasse un incantesimo speciale che catturava l'anima di chi lo indossava. Se le donne lo perdevano, si credeva che avrebbero perso la loro fedeltà e dignità. Era anche apprezzato come un'eredità che si trasmetteva di generazione in generazione tra le donne.


    Nella società tradizionale coreana, le donne sposate erano solite raccogliere i capelli in una crocchia e il binyeo li teneva fermi, impedendo che si allentassero e si spostassero. Era usato anche dagli uomini per lo stesso scopo, perché a quel tempo di solito non si tagliavano i capelli.


    Ci sono documenti secondo cui il binyeo fa parte della cultura coreana sin dal periodo dei Tre Regni (57 a.C.-668 d.C.). Durante la dinastia Silla (57 a.C.-935 d.C.) l'uso degli ornamenti fu limitato, in quanto ritenuti stravaganti. Solo alla famiglia imperiale era consentito utilizzare il binyeo nella forma di fenice o drago. Alla gente comune era concessa infatti un'unica opportunità di indossare un binyeo a forma di drago in occasione delle nozze. Durante la dinastia Joseon (1392-1910), le parrucche indossate dalle donne della classe sociale superiore vennero proibite, il che portò questi spilloni ad essere usati più spesso e a diventare oggetti esclusivamente femminili.


    Secondo antiche tradizioni, le ragazze indossavano un binyeo come simbolo del passaggio all'età adulta. Questo spillone rappresentava anche un'occasione d'incontro tra innamorati, dato che lo sposo lo regalava alla fidanzata come simbolo d'amore e promessa matrimoniale. 

Fonte: Korea.net

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Ne La Casa Gialla, Jean trova un binyeo in un mercatino dell'usato, insieme ad altri oggetti che normalmente componevano un corredo nuziale. Vi ricordate quali?

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