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Nel cotonoso raplaplà di Bologna..., il tipo di quella donna dall'anima fosforica e smagliante come un metallo vetusto mi avvolgeva di un turbine di esistenza remotissima e futurissima.
- A. Savinio

venerdì 30 dicembre 2022

IL GIOCO DELLE OMBRE - Nomen Omen: il personaggio di Mae Han-Ji e il significato del suo nome.

 

"Il nome è un presagio", nel caso del personaggio della piccola Angie (Han-Ji) il nome è piuttosto un'eredità - culturale e familiare - e insieme un anelito. 

Nelle altre lingue non esiste una traduzione che si avvicini lontanamente alla parola “han”. Il teologo Minjung, Suo Nam Dong, ha descritto l’han come “un sentimento di risentimento non risolto verso le ingiustizie sofferte, un senso di impotenza causata da situazioni travolgenti verso il singolo, un sentimento di dolore acuto nelle proprie interiora, che costringe il corpo a contorcersi e torcersi, e un ostinato impulso di avere vendetta e di correggere i torti subiti”.

Ma entriamo meglio in dettaglio.

Le origini dell’han coreano sono attribuite a tutte le ingiustizie che questo Paese ha subito nel corso dei secoli; come sappiamo la Corea è stata uno stato vassallo, un campo di battaglia, schiavizzata da nazioni e regni molto più potenti di lei per molte e molte volte.  Mettendola in un altro modo, l’han è un concetto antropologico che opera su tanti livelli, da quello più alto storico nazionale a un sentimento psichico più intimo della persona. L’agente superiore che può aver provocato il torto può essere vario; qualche volta il governo, qualche volta i ruoli familiari, qualche volta il fato e la fortuna. Virtualmente qualsiasi persona proveniente dalla Sud Corea può possedere questo dolore insito dentro di sé dato da un forte senso di ingiustizia. Qualsiasi straniero che si affacci alla cultura coreana per capirla deve conoscere questo sentimento e la sua potente influenza nella vita quotidiana di tutti i giorni. L’han è l’opposto del karma: mentre il karma si ripulisce di vita in vita in base alle azioni compiute, l’han si accumula e viene passato di generazione in generazione. Nonostante tutto però, il concetto di han non è prettamente negativo; storicamente è associato alla creazione di una complessa bellezza e non si riferisce solo a un trauma senza soluzione ma anche alla sua risoluzione. L’han è l’esempio di come la storia di un popolo può essere interiorizzata dai suoi individui e nello stesso tempo crei connessioni orizzontali di empatia e identificazione.

(fonte: Ambasciata della Repubblica Coreana in Italia)

Ma veniamo alla seconda parte del nome: "Ji". Questa parola, di origine sino-coreana che ha il suo equivalente cinese in "Zhi", significa "sapienza", quindi "Han-Ji" significa in breve "sapienza derivata dall'han, da quel sentimento di ingiustizia subita ed ereditata dal passato familiare di cui parlavo prima e chi ha letto La Casa Gialla, avrà già inteso a cosa mi stia riferendo.

Han-Ji è la conclusione di un ciclo vitale e l'inizio di uno nuovo e allo stesso tempo il filo rosso che collega le due parti di un dittico che esplora in modo differente la medesima domanda: "Quanto influisce sul nostro destino l'eredità culturale, economica, ed emotiva della nostra storia familiare?" 

Han-Ji, il frutto della prima parte, rappresenta una risposta di speranza e rivalsa, e dunque quale sarà la risposta formulata alla fine de "Il gioco delle Ombre"? Ovviamente lo scoprirete solo acquistando il libro, in uscita il 16 gennaio.

Felice Anno Nuovo di Speranza e Rinascita a tutti! 

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Ecco il breve estratto dove incontriamo per la prima volta la piccola Han-Ji:

"Per quella sera, la pace era finita, almeno per un paio d’ore, sino a che non avesse soddisfatto tutte le richieste di Han-Ji. Un colpo secco, assestato con rabbia alla porta, lo indusse a dar segni di vita.

«Ancora un istante, tesoro e sono da te. Lasciami giusto il tempo di asciugare i capelli.»

La voce suadente dell’uomo non riuscì a blandire la furia dell’assalitrice. Un altro colpo alla porta. Più forte.

«Appa! La mamma dice che devo fare la nanna, se non esci subito. Non voglio la nanna, voglio il gioco delle mani!»

Il “gioco delle mani”, reclamato dalla voce infantile fuori dall’uscio, era in realtà l’antico gioco delle ombre cinesi, con cui la dilettava il padre mentre narrava fiabe estemporanee animate da lupi, conigli e a volte anche giraffe ed elefanti. Jean tirò un lungo sospiro e rimise il phon nel cassetto. Aprì la porta e abbassò lo sguardo a un’altezza di circa un metro da terra, sulla sommità di una testolina arruffata di capelli castani raccolti in due trecce. La bimba teneva il volto rivolto verso l’alto e stava osservando il padre con aria di sfida, i piccoli pugni piantati sui fianchi, come aveva visto fare alla madre quando era arrabbiata. Son-Jun la trovava adorabile, con quello sguardo feroce, la bocca imbronciata e due guanciotte paffute da baciare. Le diede un buffetto sul naso e le allungò una mano perché l’afferrasse.

«Vieni. Va’ di là da mamma e preparate insieme un po’ di frutta, mentre mi vesto. Vi raggiungo subito.»

«Keure!» (d'accordo)."

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